Nel mezzo del correr della mia vita
Nel mezzo del correr della mi’ vita
mi ritrovai in una rete oscura
che supposi la retta via è infinita.
Ohi se sei un nerd per me è dura
questa rete moderna è simpaticamente forte
v’è nel pensier la saggia dose di paura!
Quant’è dolce un poco a tratti l’è sorte;
ma per dosar del bene in cui mi persi e ch’i vi trovai,
dirò lontanamente tutte quelle che v’ho scorte.
Io non so ben ridir com’i’ vi entrai,
tant’ero pien di vita in quel punto
che la materiale via abbandonai.
Ma poi ch’i fui tra pinzillacchere e quisquilie giunto,
là dove la materia terminava dalla valle
che m’avea di timor la mente compunto,
guardai in alto, e vidi gravitazionalmente le spalle
vestite già de’ tutto lo pianeta
che vagabonda altrui per ogne calle.
Allor fu la paura un poco queta
che dal mare del pensier m’era durata
la rete ch’i’ passai con tanta pieta.
E come quei che tra tablet e smartphone con rete affannata
usciti fuor da gallerie com se fosse la riva
maledicono il buio ch’imprigiona essenza sofisticata,
così il pensier mio, ch’ancor titubava,
guardò tele e giornale a rimirar lo passo
che già lasciò perenne persona viva.
Poi m’abbandonai all’eslpicita libertà d’un passo,
ripresi il blog dall’aria deserta,
si che il dito mai fermo non era mai basso.
Ed ecco, quasi all’iniziar sull’aria deserta,
ch’era d’uomo l’immagine c’ho colto,
s’appellò alla mia mente di un nome l’allerta;
rimanne dinanzi a scrutare il mio volto,
anzi ‘mpediva tanto il mio cammino,
ch’i fui bloccato da tanto in molto.
Tant’era nel pieno di un mattino,
e ‘l sol non si notava un granché come la notte stelle
ch’eran compagne tra bicchier di vino
mosse di prima quelle cose belle;
si ch’a bene sperar c’era ragione;
ma il timor presto sparì e non me ne desse la vista che m’apparve d’un unione.
Questa parea che all’abbracciar me venisse
e la sua dimestichezza del web m’accollò di fame,
sì che parea che l’aura richiamasse.
C’era un qualcosa ch’arricchiava le brame
nonostante internet accennava la sua magrezza,
e molte genti fè viver da dame,
questa mi porse tanto che sollazza
con il coraggio determinato dalla sua vista,
ch’io compresi l’importanza dell’altezza.
E qual è quei che malvolentieri acquista,
ed il baratto col tempo che fece,
che ‘n tutt’i suoi pensier non piange e non s’attrista;
tal mi fece quel volto ricco di pace,
che, venendomi ‘ncontro, a poco a poco
m’esaltava là dove il sol tace.
Mentre ch’i’ rovinava al basso è un loco,
dinanzi a li occhi ch’era offerto
chi per lungo silenzio non parea fioco.
Quando vidi costui nel gran deserto,
“Parte di me?”, gridai a lui,
“quel che tu sei mi adombra, è certo!”.
Rispuosemi: “Non certo, certo già fui,
e li parenti miei furon toscani,
guerra e pace, distantanza e ambedui.
Nacqui tra guelfi e ghibellini, ancor che fosse tardi,
conobbi perlomeno vocalmente Roma ch’era forse agosto
nel tempo che un Dio ritenni veritiero tra i tanti bugiardi.
Poeta fui, e cantai del me giusto
che lesse d’Anchise che venne di Troia,
con vai nomi e parole tra cui combusto.
Ma tu perché ritorni a tanta noia?
perché non sali sul web che è monte
ch’è principio e cagion di tutta gioia?”.
“Or se’ tu Durante o come dicon tutti Dante
che dal mar ch’è ora ed era fiume?”,
risposi io con elaborazioni nella fronte.
“Tu sei poeti onore e lume
attraverso te la lingua è quella che versa amore
reputo fortuna ch’ho letto il tuo volume.
Sei il maestro di tutti e di tutti autore;
sei colui da cu’ io colsi
lo bello stile che mi farà onore.
La fuga dal web che s’accennava la colsi:
aiutami da lei, famoso saggio,
ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi”.
“A te convien tenere questo viaggio”
rispose poi che lacrimar mi vide,
“se vuò far sentir la tua voce nel loco non selvaggio:
la fuga che ne sento le gride,
non lascia altrui veder il tuo messaggio e per la sua via,
ma tanto lo ‘mpedisce che l’uccide;
e la natura è piena se così sia,
che mai riempie la bramosa voglia
e poi ti sfugge più di pria.
Molti saranno i fuggitivi ma spariranno ad una soglia,
ma quel che dico non è per sempre e non è sul retro
verrà chi ci farà comunicar con voglia.
Questi non mangerà nè si ciberà e null’altro,
ch’è sapienza, amore e tutte tute,
e la sua nazion non v’è tra l’altro.
Non darà nomi alle nazioni che saran mute
allacciate da una comunicazione che sarà bella
e non sarà di tecnologie colorate.
Questi tramuterà il mondo in villa,
senza paura dell’inferno,
con la calma camomilla.
Anch’io che penso non credo e discerno
che tu del futuro m’hai fatto la guida,
perché dal passato si vede il futuro in eterno,
ove udirai le disperate grida,
vedrai li antichi umani materiali dolenti,
ch’alla morte nessun vuol che se ne faccia grida;
e vedrai color che son contenti
in guerra, perché speran di venire
quando che sia nella storia per le beate genti.
Alle quali poi tu salirai senza mentire,
anima fia a ciò più di me degna:
per arrivare a lei ti lascerò partire;
che all’imperator a cui credo senza vederlo regna,
e seguo la sua legge,
qui è per me anche una sua città ma non è degna.
In tutte le parti impera e quivi regge;
è una sua città e si elegge!”.
Io a lui “Poeta, io comprendo il saggio
per quello Dio in cui tu credesti,
e per rispetto tuo che prendo questa strada che sia male o peggio,
che tu or ora mi dicesti,
sì che tu dica io a tutti quelli che danno un occhio dietro
che colei non siam che noi, facciam le festi”.
Allor si mosse, ed io passai al suo retro.

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