Il passare del tempo chiusi dentro casa, da una parte arricchisce la ricerca del te stesso, dall’altra impoverisce il tuo studio degli altri, cosicché è un periodo per leggere Vite A Buon Mercato.
Questo libro è stato pubblicato da Tempesta Editore nel 2015, ed è un romanzo scritto da tre autori, Romero Vernazza, architetto, scrittore e satirico, Silvia Mobili, giornalista Sagittario co-conduttrice radio, e Paolo Vanacore, autore e regista teatrale.
Composto in tre parti, nelle quali si percepisce la diversa modalità di scrittura.
Siamo nell’estate del 2008, e Sten si sveglia uscendo da uno dei suoi soliti sogni che gli rimangono impressi e dipingono i suoi stati d’animo, raffigurano la sua vita, ma in questo caso si tratta di un incubo. Lui se ne intimorisce, e se ne domanda il perché, provando come suo solito a studiare com’è passato il suo tempo, come ha vissuto, e basilarmente il punto fisso, purtroppo per lui, è Stef, sua moglie. È un tipo riflessivo, grasso e senza voglia di fare.
Sten non ha fatto mai nulla, se non andare al lavoro, timbrare il cartellino, tornare, e sedersi sul divano digitando il telecomando.
Stef si sente come se vivesse nella famiglia dei Simpson, ma non ha figli, cani, gatti o amore per suo marito, che rappresenta l’Homer della situazione, senz’essere uno che gioca con tutti compresa la moglie, e senza neanche lontanamente mostrarle quell’amore che suppone non esista; fa sempre le cose da casalinga schematica.
Un giorno arriva la lettera che concede a entrambi la possibilità di crescere una loro nipote tredicenne, Gabriella, sol che per loro non è una bella notizia, poiché i genitori sono entrambi morti, e uno di loro era la sorella di Stef, inoltre è un obbligo: loro non si sentono una coppia felice, e non vorrebbero farlo.
_____________________________________________________________________________________
In questo periodo che leggo senza dare occhiate alla sinossi sul retro del libro, andavo avanti nel farlo senza sapere cosa mi aspettasse, senza sapere quale sarebbe stato l’epilogo della vicenda narrata.
Notando le routine dei due personaggi principali, che poi potrebbero divenire anche quattro, o cinque, o anche no, mi poggiavo all’ironia velata del Vernazza, al collegamento scollegato tra i due consorti spiegato brevemente ma ottimamente dalla Mobili, poi stupendomi con un lungo finale che s’allontana dall’inizio preordinato e diviene quasi machiavellico, ma facilmente comprensibile per chiunque.
Mi sono piaciuti tutti e tre gli scrittori, ma ciò che m’ha sorpreso di più, sono state le piccolezze che possono trasformare la vita composta, senza alcuna originalità dei molti monotoni e scuri, in lampi di sperato sbriliccichio.
Questa è una delle poche volte che leggo un libro regalato a mia madre, visto che solitamente quelli che regalo agli altri, prima li ho letti, invece quelli per la mamma, la mia mamma, no. Alla richiesta del “Com’è?”, la sua risposta è sempre simile, “Bello… carino”. Sembra abbia litigato con gli aggettivi e non mi incuriosisce, non mi ispira, come voglio sempre sperare.
Una delle cose che ti porta a fare questo libro, è quella di intimorirti alla vista del minestrone o al sentir nominare quelle malattie che sono considerate il male del secolo.
Una lettura che, anche se non te lo aspetti, ti incuriosisce sempre più, e lo ha fatto a me senza contare sul non aiuto della mamma, a te col surrealismo tragico che si accosta all’identità segreta di Clark Kent.
Leave A Response