È arrivata la giornata nella quale tutto il mondo accetta, chi poco più, chi poco meno, d’essere nella pandemia più grave e contagiosa nella conosciuta storia planetaria.
Naturalmente ciò che sto scrivendo lo esprimo solo per quello che so io, assoluto ignorante della medicina.
Ricordo con certezza che pochi giorni prima del mio compleanno che è il 26 febbraio, e leggo sul web che dovrebbe essere il 21, la notte rimasi sveglio a pensare; cosa che in realtà mi accade molto spesso, ma in questo caso ero innervosito da quelle parole sentite alla TV che informavano del contagio al Coronavirus arrivato in Italia.
È stato un grosso colpo.
Mi sono incontrato il giorno dopo con i miei amici e ne ho parlato, accennandolo appena, poiché già tra di noi questo tema era stato vagamente toccato, ma per com’è la mia natura non ho voluto neanche quella volta evidenziarlo troppo. Ho notato che nessuno ha voluto parlarne troppo, ed in effetti lo trovo anche un comportamento giusto. Parlarne in un insieme di persone che si incontrano per rilassarsi, non porta a nessun risultato.
Sentivo che qualcosa di grosso stava succedendo, e nei giorni successivi, e son certo di non errare visto che come ho scritto era mio compleanno, ho iniziato ad accennare qualche mio pensiero, qualche mia visione sul futuro che mi intimoriva.
Con esattezza il 27 febbraio ho detto a qualcuno in quel gruppo che se si allargava parecchio e non si trovava la cura o un vaccino, poteva divenire una colossale crisi medica ed economica mondiale, e aggiungo che ne avevo timore, ma quel di quei timori di passaggio, di quelli neonati che possono sparire senza tenerli in memoria, nei ricordi. Quello che avevo provato il 21 era più forte, ma come saprai nelle notti viene spiccato un po’ tutto.
Il 2 marzo ci viene riferito il primo caso a Roma, città nella quale sono nato e abito, e di lì se ne comincia a parlare di più, molto di più, si può dire ininterrottamente, in tutti i luoghi di comunione del centro abitato.
Il 4 marzo sera avviene il primo discorso sui social di Conte che ci informa sulla gravità del CoronaVirus, e che invita tutti ad “assumere un comportamento responsabile…” ma “non stravolgere le nostre abitudini di vita”, cosa che per quanto se ne sapeva io reputo giusta.
Nella notte tra il 7 e l’8 marzo definisce stato di emergenza nazionale questo contagio, e dal mercoledì 11 si è passati a chiudere tutti le attività che non vengono considerate di primario interesse per la salute del popolo.
I primi giorni qualcuno ha iniziato a criticare il comportamento del governo, il primo occidentale che attua questo procedimento, invece io mi ero moderatamente complimentato con questa scelta, aggiungendo che pochi giorni e “… lo farà tutta il mondo”.
Sicuramente, voglio aggiungerlo, non sono stato l’unico, ma vedere che le tue ipotesi vengono poi confermate, come mi è avvenuto spesso negli ultimi anni, mi da la certezza che risulta proprio come il ‘parlarne in un insieme di persone che si incontrano per rilassarsi non porta a nessun risultato’.
Ha un ché di inutile, ma non riesco a non sottolinearlo, forse per ego, ma spero anche per altro che scoprirò in futuro.
Ti ho fatto questo discorso per arrivare a ciò che avevo già riferito nella poesia Marzo come tutti pubblicato il 15 marzo.
Sta prendendo corpo l’ipotesi che ho, ma che come ti ho scritto ha un ché di inutile affermare preventivamente, e quel che non ho fatto sino ad ora, continuerò anche in questo articolo a non fare: il non scrivere il futuro che ipotizzo.
Oggi sono così ma, come ho precisato, domani non so se continuerò a non farlo e preferisco non anticipare qua il mio futuro, cosa che tra l’altro ho in parte già accennato nella poesia, e che penso, eventualmente, continuerò a fare solo in termini poetici.
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